lunedì 30 agosto 2010

Il Sole

                                         
Ultimo e dominante come valore il gruppo degli astri, il Sole è carta che presenta fin dai mazzi più antichi numerosissime variazioni iconografiche; di volta in volta questo luminare può splendere su una fanciulla in atto di filare o su un vecchio dentro ad una botte, probabile allegoria di Diogene, o rimandare al mito greco della caduta di Fetonte Il giovane, figlio di Helios, dio del sole, volle imprudentemente guidare attraverso la volta celeste il cocchio coi focosi cavalli del padre, ma non seppe padroneggiarli e precipitò verso il basso, annegando miseramente nel Po.  Nel Tarocco Visconti l’astro è retto da un fanciullo alato, che si libra al di sopra di un paesaggio sul cui fondo si erge un castello. Probabile allusione araldica, questa immagine si rifà forse al sole raggiante, emblema della famiglia Visconti-Sforza. I Tarocchi marsigliesi presentano un’ulteriore variazione iconografica: un grande sole fa piovere a terra gocce colorate. In piedi, sullo sfondo di un muretto, due bambini seminudi si stanno abbracciando. Per la nostra civiltà il sole è simbolo di luce, di chiarore, di vita. Nel Vecchio Testamento, Genesi (1,16-18) è scritto: ”Dio fece i due luminari maggiori, il luminare grande per il governo del giorno e il luminare piccolo per il governo della notte e delle stelle. E Dio li pose nel firmamento del cielo per fare luce sulla terra e per governare il giorno e la notte e separare la luce dalle tenebre. E Dio vide che ciò era buono”. La Bibbia mette dunque il sole in relazione con Dio e la creazione e ne parla come di un luminare, un dispensatore di luce. 
Quasi tutti i popoli antichi posero l’astro diurno al centro del cosmo, come un’entità sacra; in Egitto in particolare si produssero numerose incarnazioni di divinità solari che erano legate anche alla vita quotidiana dell’uomo e alle leggi astronomiche; al mattino egli nasceva come dio Horus, a mezzogiorno diventava l’adulto Ra, la sera si trasformava nell’anziano Atoum, la notte viaggiava nell’oltretomba come Knoum.
Secondo la mitologia greca, Helios era un autentico dio che ogni mattina saliva dal fiume Oceano, percorreva la volta del cielo e si rituffava alla sera dalla parte opposta. Egli vedeva tutto, scoprendo delitti e colpevoli, ed era invocato nei giuramenti; era chiamato “occhio di Dio”, sguardo di Dio sul mondo, simbolo di onnipresenza e onniscienza. L’idea che “Dio ti vede ovunque” è stata, come è noto, assimilata anche dalla religione cristiana. Helios era distinto da Apollo, dio dalla natura ambigua e complessa, di cui uno degli epiteti era fin dall’antichità “Febo”, da “foìbos”, “l’illuminante”; in epoca classica Apollo usurpò alcuni degli attributi di Helios e divenne anch’esso un dio solare. La bellezza splendente di Apollo incarnava bene l’idea di chiarezza ed armonia collegata con l’astro. Il sole come immagine del bene era menzionato anche da Platone, per cui esso ne era la manifestazione visibile.
Verso la fine del periodo classico i culti orientali introdussero in occidente una nuova figura di “dio solare” che finì per detronizzare lo stesso Zeus/Giove; particolarmente importante divenne per i latini il culto di Mitra, dio iranico figlio del sole e sole egli stesso, che combatteva tenacemente il male; era solitamente rappresentato tra due giovani, simboli del sole nascente e di quello calante; la sua religione era esclusiva, praticata dalle classi elevate e dai sovrani, dagli iniziati e dai filosofi. Questo carattere di supremazia e trionfo era un altro degli aspetti dell’astro che in occidente e in oriente era associato al potere temporale; non a caso in astrologia il sole è il pianeta che governa il segno del Leone, simbolo tra l’altro di dominio. Nell’ambito di questo e dei culti solari del tardo impero era stata stabilita anche una festa, detta “Natale dell’invitto”, introdotta dall’imperatore Aureliano; il Natale del sole fu assegnato al 25 dicembre, giorno in cui era festeggiato con cerimonie spettacolari. In seguito la Chiesa sovrappose a questa data quella presunta della nascita di Cristo, che diventò poi il nostro Natale. Si venne così a formare un parallelo tra Gesù e il sole, precedentemente delineato nella Bibbia dove Cristo era assimilato alla luce; scrive infatti il Vangelo di Giovanni: ”Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo”(1.4-9); Malachia invece paragona Cristo a un sole di giustizia.
Presso la maggior parte dei popoli il sole rappresenta anche il principio maschile o il padre. Così è spesso nei sogni degli adulti dall’antichità al XX secolo e nei disegni dei bambini. Nel Vecchio Testamento Giuseppe sogna che il sole, assieme alla luna e alle stelle, si inchina davanti a lui; il sole rappresenta suo padre e gli astri i suoi familiari, mentre il messaggio onirico prefigura il suo destino glorioso alla corte del Faraone. Anche in astrologia il sole, che è considerato un pianeta e non una stella, è collegato al principio maschile e all’io. Esso è l’astro più importante, e la sua posizione zodiacale determina il comportamento basilare dell’uomo e della donna. Il sole rappresenta la coscienza di un individuo, il nucleo della sua personalità. Riguarda però anche il padre, e in un tema femminile occorre leggerne la posizione per sapere verso quale tipo d’uomo la donna è indirizzata.
Fin dall’antichità l’uomo ha messo in relazione il sole con la luna, così come il cielo con la terra. Il primo rappresenterebbe qualità maschili come la riflessione, l’azione, la volontà, assimilate allo spirito; la seconda simboleggia qualità femminili come l’immaginazione il sentimento, l’intuizione, collegate con la materia. Tuttavia questa dualità non è una regola assoluta; infatti in taluni paesi, come la Germania e il Giappone, il sole è femminile e la luna è maschile.
Ma il sole non ha soltanto valenze positive; esiste anche un sole negativo, oscuro. Anche le divinità solari dell’antica Grecia avevano aspetti negativi. Nell’Iliade Apollo è il dio “Hekatebolos”,”che lancia lontano le frecce”; i suoi dardi erano apportatori di morte per quelli che lo offendevano; gli erano inoltre associati animali considerati nefasti come il topo e il lupo. L’aspetto malefico del sole è particolarmente evidente nei paesi caldi dove l’astro distrugge causando siccità e bruciando ogni vita vegetale. sulla terra. Anche Artemidoro nel suo libro dei sogni, ne ricorda questo lato minaccioso; esso può presentarsi in ombra e macchiato di sangue, scendere sulla terra e perfino nel letto di qualcuno. Psicologicamente il sole negativo può essere la coscienza oscurata, che non è al servizio della vita ma piuttosto tende a distruggerla.
Nel Tarocco di Marsiglia il Sole splende su due gemelli. Tutte le mitologie e culture presentano un forte interesse per questo simbolo che può essere raffigurato in vari modi: perfettamente simmetrici, oppure uno oscuro e l’altro luminoso, o di colori opposti (nero/bianco, rosso/azzurro) o con teste di animali. Il geroglifico astrologico di questo segno, che conclude la primavera, è composto da due barre verticali unite tra loro da due trattini ricurvi. In taluni Zodiaci i Gemelli sono due fanciulli che si abbracciano come quelli del diciannovesimo Arcano; più raramente sono rappresentati con le ali o come una coppia uomo/donna. Nei miti occidentali la matrice della coppia gemellare è da ritrovarsi in Caino e Abele; altre coppie famose sono quelle di Giacobbe ed Esaù, Castore e Polluce, Romolo e Remo. I due giovani, lungi dall’essere identici, hanno solitamente due nature opposte ma complementari; essi esprimerebbero tutte le opposizioni interiori dell’uomo, e la lotta che egli deve compiere per superarle. Al dualismo dei Gemelli è spesso collegato il corso ascendente e discendente del sole; molti miti infatti usarono l’immagine di due fanciulli per rappresentare la discesa  del sole, la notte, nel regno dei morti, e la sua risalita sulla terra il giorno dopo.
Nel Tarocco esoterico la coppia di bambini è sostituita da una figura femminile allacciata a un’altra maschile, mentre gocce di pioggia aurea cadono su di esse. La carta rappresenterebbe l’unione degli opposti per la creazione dell’opus alchemico, ossia la pietra filosofale fonte di vita e di potere.
Il numero XIX che contrassegna la lama, sarebbe legato alla felicità, al successo, all’onore, al matrimonio. Secondo Charrot rappresenta "il numero della stella che illumina l'intelligenza, tonifica gli innocenti o il cuore puro, illustrato da bambini che giocano nel giardino dell'umanità, quando la pace è fatta tra gli imperi".

Il Giudizio o l'Angelo

Questo Trionfo si trova spesso menzionato come “L’Angelo”, mentre nelle Minchiate è detto “Le Trombe”. Rappresenta la resurrezione dei morti il giorno del giudizio universale; nel Tarocco Visconti il Padreterno in forma di vecchio barbuto con globo e spada, compare nel cielo affiancato da due angeli che suonano la tromba; in basso tre figurette ignude, un uomo, una donna, un vecchio, escono da un avello con le mani giunte. Nel mazzo di Carlo VI e nei Tarocchi marsigliesi Dio padre è sparito e al suo posto campeggiano nel cielo una o più figure angeliche. Col tempo il grande angelo annunciatore del “Dies Irae” diventa spesso l’unico protagonista della lama, come nei Tarocchini bolognesi e nelle Minchiate.
L’idea del giudizio universale è comune alle grandi religioni monoteiste: giudaismo, cristianesimo, islamismo, zoroastrismo, mentre nei popoli primitivi è diffusa quella di un giudizio individuale che deciderà le sorti dell’anima. Anche l’attesa della fine del mondo è presente in diversi popoli; ad essa dovrebbe seguire un rinnovamento, come nel germanico Crepuscolo degli Dei, o una sconfitta finale del male, come nelle religioni persiane, o la morte di tutti gli esseri con successiva resurrezione come nell’Islamismo. Nel Vecchio Testamento si allude raramente alla resurrezione dei morti, ad esempio nel libro di Daniele; Matteo, nel Vangelo, così descrive la scena apocalittica: ”le tombe si aprirono, e molti corpi di santi che vi riposano resuscitarono (27,52). Ma il libro più importante sull’argomento è l’Apocalisse che dà una descrizione terribile, ma splendida nel suo lirismo, della fine dei tempi. Apocalisse significa in greco “scoprire”,”rivelare” col significato di comunicare verità divine. La Chiesa ha identificato l’autore in San Giovanni, evangelista e apostolo; egli, trovandosi nell’isola greca di Patmos, fu rapito in spirito ed ebbe una visione dettagliata della fine del mondo; il messaggio dell’opera è che “il tempo è vicino” e la vita materiale corre verso la sua consumazione finale.

Sul piano iconografico il tema del giudizio si sviluppa in Europa a partire dall’arte paleocristiana per giungere alla massima espansione nel Medioevo; vi sono però differenze interpretative a seconda che l’influenza dell’opera sia di tipo occidentale o bizantino. Nei primi periodi del cristianesimo ci si limitò a rappresentare la figura di Cristo che accoglie le anime beate; in seguito la scena si ampliò notevolmente; a partire dall’XI secolo la composizione fu articolata su una serie di fasce sovrapposte, in genere suddivise in tre momenti fondamentali: al vertice l’apparizione di Cristo giudice; al centro la separazione degli eletti dai reprobi; in basso la resurrezione dei morti. Nella seconda scena gli angeli guidano i beati verso la Gerusalemme celeste, mentre i demoni spingono i dannati nella bocca dell’inferno. Per un’ingenua convenzione i primi sono rappresentati vestiti di tutto punto, mentre i secondi sono ignudi; le anime recano inoltre le insegne del loro potere terreno, cioè le corone se sono re o le mitrie se sono vescovi o papi. Per quanto riguarda la resurrezione dei morti vi è spesso differenza d’interpretazione iconografica a causa delle numerose dispute teologiche circa la modalità dell’evento. In generale  però si preferiva attenersi alle idee espresse da San Paolo nella Epistola prima ai Corinzi: “suonerà infatti l’ultima tromba e i morti risorgeranno incorruttibili” (15,52). Ogni pittore interpretò a suo modo questo evento: Luca Signorelli affrescò  interamente la cappella di San Brizio, nel duomo di Orvieto (1498-1500 circa) col giudizio universale: l’autore visualizzò le parole di Paolo dipingendo alcuni risorti come scheletri, altri rivestiti con brandelli di carne, come se si stessero ricoprendo di muscoli e pelle. In ulteriori figurazioni i morti sono ancora avvolti nel lenzuolo funebre, o completamente vestiti, o nudi. In generale si preferiva raffigurare i resuscitati senza nulla addosso; l’usanza non corrispondeva a un costume medievale (la gente veniva sepolta coi suoi abiti) ma si riferiva evidentemente all’interpretazione di testi sacri. Anche Michelangelo come è noto, dipinse un giudizio nella parete d’ingresso della cappella Sistina (1533-34), considerato uno dei capolavori massimi dell’arte di tutti i tempi; in tale opera l’artista rivoluzionò lo schema compositivo a fasce sovrapposte e rappresentò beati e dannati in un ribollire di corpi nudi che scandalizzò i contemporanei.
Le raffigurazioni più notevoli di questo tema si trovano in Italia: a Palermo, nella cappella Palatina, a Torcello, nel Duomo, a Padova, nella Cappella Scrovegni. La parete di fondo della chiesa, volta ad occidente, era il luogo destinato alla raffigurazione, ed essendo quella della porta, ricordava a chi usciva l’incombere della divina giustizia


I Tarocchi riprendono questa tradizione pittorica secolare semplificando al massimo la rappresentazione: l’erompere della divinità è suggerito solo dalla comparsa del suo messaggero, l’angelo con la tromba, mentre eliminati eletti e reprobi, si passa direttamente alla resurrezione dei morti. Il Giudizio è, assieme alla Temperanza, uno dei Tarocchi in cui l’angelo è protagonista. Nell’Antico Testamento Dio si serve degli angeli per guidare l’uomo e per salvarlo dai pericoli: ancor più numerosi sono gli interventi angelici nel Nuovo Testamento; essi hanno ispirato un’infinità di opere d’arte, basti pensare al celeberrimo episodio dell’Annunciazione, narrato nel Vangelo secondo Luca. Gli angeli hanno un ruolo fondamentale nell’Apocalisse di San Giovanni, dove sono il braccio armato della collera divina; suonando le trombe o versando coppe avvelenate sulla terra causano di volta in volta terribili piaghe che distruggono il genere umano.  La Bibbia non presenta tuttavia una dottrina strutturata su di essi, ma li cita solo nelle loro imprese; l’opera più importante sugli angeli è la “Gerarchia Celeste”, scritta dopo il V secolo, da un autore il cui nome è sconosciuto, che gli storici chiamano per comodità Dionigi l’Aeropagita o Psedo-Dionigi; essi vi sono descritti nella loro forma e nella loro struttura gerarchica; sono infatti divisi in nove ordini a loro volta raggruppati in tre sottordini: l’ultimo comprende i Principati, gli Arcangeli e gli Angeli, che sono i più vicini all’uomo. Questo testo visionario ispirò in seguito gli scritti di Sant’Agostino, San Tommaso, Dante Alighieri e dei filosofi neoplatonici.
Sul piano iconografico le raffigurazioni degli angeli derivano dai geni, dalle Vittorie alate, dal dio Eros presenti nell’arte classica. Queste figure hanno la prerogativa della giovinezza e della bellezza; vestite di una bianca tunica,  hanno i piedi nudi calzati da leggerissimi sandali, mentre le ali compaiono a partire dal VI secolo. Sono spesso dotati di strumenti musicali; le trombe in particolare sono prerogativa degli angeli del giudizio, sebbene in alcune raffigurazioni essi siano muniti di verghe. La tromba era anticamente uno strumento potente usato per annunciare importanti eventi come l’assalto in guerra o una cerimonia solenne; i romani le utilizzavano anche per i giochi pubblici o i funerali.


L’interpretazione di questo Tarocco ha anche un versante psicologico; sul piano simbolico infatti la resurrezione dei morti può essere paragonata ad un risveglio dell’anima. L’erompere dello spirito, simboleggiato dall’angelo che suona la tromba, interrompe un sonno non necessariamente individuabile nella  morte fisica, ma identificabile con quello della coscienza. Il Giudizio propone quindi il tema dell’illuminazione: una verità si fa improvvisamente strada causando un mutamento significativo nell’orientamento dell’io; la vita banale di tutti i giorni viene nobilitata dal soffio dello spirito e l’energia riprende a scorrere in una direzione nuova e più opportuna.
Per Wirth l’Arcano non simboleggia la resurrezione della carne ma quella dell’iniziato che si risveglia alla vita dello spirito. Le tre figurette che escono dal sepolcro rappresenterebbero l’umanità rigenerata.
Il Trionfo è contrassegnato col XX, variamente interpretato; secondo alcuni è un numero di vita e di impulso, secondo altri di ostacoli, fatalità, intralci. E' considerato parzialmente infausto da San Girolamo perché indica la lotta universale, ma rappresenta anche la fonte di tutta l'energia del mondo.Secondo il mistico Jakob Boehme è il numero "del Diavolo", vale a dire il mondo materiale opposto al mondo spirituale.

Il Mondo

Al giorno d’oggi col termine “mondo” si designano il nostro vecchio pianeta, oppure simbolicamente un insieme di cose, di emozioni, di vita personale: “è tutto il mio mondo”; “un mondo da scoprire”, “mi piace un mondo”, ecc. Anticamente questa parola significava la relazione tra l'uomo e il  cosmo.  L’ultimo Arcano dei Tarocchi è anch’esso una carta di vasto significato e il mondo a cui allude supera i confini materiali della terra. Tra i Tarocchi miniati è l’unico Trionfo sopravvissuto in diversi  mazzi con interessanti variazioni sul tema. Nell’esemplare di Carlo VI ad esempio, una sfera è sormontata da una figura femminile alata che reca in mano scettro e globo. Nel mazzo Visconti il mondo è un grande disco sorretto da una coppia di amorini alati; al centro campeggia un’isola circondata dal mare su cui sorge una città esagonale cinta da una cerchia murata; il cielo è punteggiato di stelle. L’immagine si rifà alla cosmografia degli antichi, che concepivano la terra come un grande piatto limitato dall’orizzonte, sotto a cui si estendeva l’oceano primordiale. Nel firmamento erano fissati i lumi, ossia il sole, la luna e le stelle. Questo simbolo è restato nella tradizione occidentale fino alla scoperta della rotondità del pianeta; si ritrova in moltissime immagini medievali e influenza anche le prime, ingenue, forme di cartografia.

La città fu fin dall’antichità considerata uno spazio sacro; posizione geografica, forma, porte, distribuzione dei quartieri, non erano né casuali né arbitrarie e tanto meno influenzate da criteri estetici o funzionali. La fondazione era circondata da numerosi rituali magici preceduti da vaticini ed esplorazioni astrologiche. Si pensava che essa fosse una sorta di cosmo in miniatura e la sua nascita costituiva un atto simile a quello compiuto dal divino demiurgo al momento della creazione dell’universo. Gli antichi prendevano queste cose molto seriamente, come dimostra il racconto di Plutarco sulla fondazione di Roma: dapprima Remo e Romolo interrogarono il cielo per sapere chi dei due avrebbe dovuto dare il nome alla città. Il primo, postosi sul colle dell’Aventino, scorse sei uccelli, ma il secondo, dalla cima del Palatino, riuscì a vederne 12; la città si sarebbe dunque chiamata Roma. Forte dell’appoggio divino, Romolo si apprestò a tracciarne il perimetro; scavò dapprima un profondo fossato, che si chiamava “mundus”, su cui costruì un altare. Il fratello Remo, deluso per essere stato escluso dai pronostici, in segno di spregio, scavalcò sprezzantemente il confine, ma l’altro, offeso da quello che considerò un vero e proprio gesto sacrilego, lo uccise. Nella sua narrazione Plutarco descrive il solco come circolare ma poi cade in contraddizione chiamando Roma “città quadrata”; l’associazione di queste due forme geometriche non è solo un errore, ma suggerisce l’idea di una “doppia città”. Questo tema fu ripreso anche dal cristianesimo: nell’Apocalisse di San Giovanni è descritta la Gerusalemme celeste “cinta da alta e grande muraglia”, luogo santo che si contrappone a Babilonia, sede del male. Sant’Agostino dette ad una delle sue opere più importanti il nome di “De civitate Dei”, “La città di Dio”. Era questo un sito divino dove regnavano principi di carità ed amore, in contrapposizione con la “città terrena”, fondata dal fratricida Caino, dove dominavano la cupidigia, la lussuria e la brama di potere. Il tema della doppia città rimase vivo a lungo nel pensiero medievale, che considerava la vita dell’uomo come un passaggio dall’uno all’altro luogo, tra il mondo terreno e quello spirituale.
Nel Tarocco marsigliese l’immagine subisce una radicale modifica, pur se il significato adombrato nel simbolo rimane sostanzialmente simile; una “mandorla” o festone ovale, reca al centro una figura femminile seminuda che regge nelle mani due bacchette; agli angoli della lama compaiono un angelo, un’aquila, un leone e un bue. Queste enigmatiche figure provengono dalla già citata visione del profeta Ezechiele e sono un simbolo dei quattro evangelisti adottato nell’iconografia cristiana a partire dal V secolo. Ezechiele aveva contemplato, forse senza saperlo, alcune divinità già presenti nel Pantheon babilonese, e cioè il dio Sole, la Luna, Marte e Saturno nella loro forma allegorica, essi presiedevano alle stagioni, collegate a loro volta coi quattro elementi.
La lama presenta il tema del cerchio inserito nel quadrato, diffusissimo nelle rappresentazioni religiose e mitologiche di tutto il mondo. Il quadrato è simbolicamente la terra, lo spazio, la solidità e attiene alla sfera umana, mentre il cerchio esprime l’idea della creazione nel suo eterno divenire, ed è riferito allo spirito. Questa figura geometrica è ben nota ai Cabalisti, che vedono in essa il simbolo del fuoco divino nascosto nella materia. In oriente essa è chiamata con termine indù, “mandala” (letteralmente “cerchio”,”anello”) ed è usata nelle pratiche di meditazione; il mandala contiene l’idea del movimento e del cambiamento di livello e rappresenterebbe il misterioso rapporto tra terra e cielo. Esso è alla base di moltissime costruzioni architettoniche; moschee e chiese sono spesso articolate su una struttura a base quadrata che sostiene una cupola circolare. Anche molte città erano fondate sul quadrato e sul cerchio, come si è visto  a proposito di Roma. La figura ha infinite varianti; nel Medioevo ad esempio Cristo, rappresentato dentro ad una mandorla ovale, era spesso circondato dai quattro evangelisti; il parallelo tra questa immagine e la carta dei Tarocchi è lampante, anche se quest’ultima ospita al posto di Cristo una figura femminile che ricorda le antiche divinità greche. Questa curiosa associazione di sacro e profano non è stata chiaramente interpretata. Alcuni studiosi vedono nella donna un simbolo della Vergine, altri di Venere; Wirth la descrive come “una infaticabile Atalanta che, correndo, fa muovere la ruota della vita”, e la definisce “anima corporea dell’universo”; le due bacchette che tiene in mano avrebbero lo scopo di captare le energie vitali. Lo studioso è nel solco della tradizione esoterica rinascimentale: Marsilio Ficino, mago e filosofo di quel periodo, affermava infatti l’esistenza di un corpo, un intelletto, un’anima del mondo, ricettacolo di potenze benefiche; “l’Anima mundi” conterrebbe il seme di tutte le cose ideate dall’intelletto e che si concretizzeranno nel corpo, ossia nella materia. Ficino espone questa teoria nel “De vita coelitus comparanda”, ed è influenzato dalle idee di Platone esposte nel Timeo.

La mandorla che circonda la donna è una variante del cerchio. Questo nembo di forma ovale è di origine orientale ed è passato nell’arte cristiana medievale; durante medioevo e rinascimento centinaia di santi sono stati raffigurati avvolti dal luminoso tracciato della mandorla; essa è un’aura sacrale ma anche un guscio protettivo, una specie di uovo che promette una nuova nascita.
Il Mondo contiene l’idea della totalità; la città/cosmo, fondata sul quadrato e sul cerchio, è un simbolo dell’ordine materiale in relazione con quello spirituale, dell’unità nella molteplicità; tra i due ambiti c’è un rapporto di scambio e armonia, e l’unione ha fatto cadere qualsiasi conflitto. Un ulteriore, possibile collegamento a sostegno di questa ipotesi è infine costituito dal parallelo con la carta che nei Tarocchi del Mantegna è chiamata “Prima Causa” ; essa è la più importante di tutti gli altri in quanto rappresenta Dio stesso. Nella versione denominata con la lettera S, l’incisore ha rappresentato al centro una figura a cerchi concentrici, derivante dalla dottrina tolemaica sulla struttura dell’universo, mettendo agli angoli i quattro evangelisti, che non compaiono nella versione E. Questo dettaglio avvicina la Prima Causa al Mondo e chiarisce ancor meglio il significato mistico della lama.
Il numero XXI, a cui corrisponde la carta, ha valore di sintesi suprema. Secondo la Bibbia risulta dalla moltiplicazione di 3 per 7 e rappresenta la perfezione per eccellenza. E’ un numero benefico che si identifica con la globalità e che racchiude i tre settenari e i sette ternari in cui si suddividono i Tarocchi. 

domenica 29 agosto 2010

Bibliografia

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