Al giorno d’oggi col termine “mondo” si designano il nostro vecchio pianeta, oppure simbolicamente un insieme di cose, di emozioni, di vita personale: “è tutto il mio mondo”; “un mondo da scoprire”, “mi piace un mondo”, ecc. Anticamente questa parola significava la relazione tra l'uomo e il cosmo. L’ultimo Arcano dei Tarocchi è anch’esso una carta di vasto significato e il mondo a cui allude supera i confini materiali della terra. Tra i Tarocchi miniati è l’unico Trionfo sopravvissuto in diversi mazzi con interessanti variazioni sul tema. Nell’esemplare di Carlo VI ad esempio, una sfera è sormontata da una figura femminile alata che reca in mano scettro e globo. Nel mazzo Visconti il mondo è un grande disco sorretto da una coppia di amorini alati; al centro campeggia un’isola circondata dal mare su cui sorge una città esagonale cinta da una cerchia murata; il cielo è punteggiato di stelle. L’immagine si rifà alla cosmografia degli antichi, che concepivano la terra come un grande piatto limitato dall’orizzonte, sotto a cui si estendeva l’oceano primordiale. Nel firmamento erano fissati i lumi, ossia il sole, la luna e le stelle. Questo simbolo è restato nella tradizione occidentale fino alla scoperta della rotondità del pianeta; si ritrova in moltissime immagini medievali e influenza anche le prime, ingenue, forme di cartografia.
La città fu fin dall’antichità considerata uno spazio sacro; posizione geografica, forma, porte, distribuzione dei quartieri, non erano né casuali né arbitrarie e tanto meno influenzate da criteri estetici o funzionali. La fondazione era circondata da numerosi rituali magici preceduti da vaticini ed esplorazioni astrologiche. Si pensava che essa fosse una sorta di cosmo in miniatura e la sua nascita costituiva un atto simile a quello compiuto dal divino demiurgo al momento della creazione dell’universo. Gli antichi prendevano queste cose molto seriamente, come dimostra il racconto di Plutarco sulla fondazione di Roma: dapprima Remo e Romolo interrogarono il cielo per sapere chi dei due avrebbe dovuto dare il nome alla città. Il primo, postosi sul colle dell’Aventino, scorse sei uccelli, ma il secondo, dalla cima del Palatino, riuscì a vederne 12; la città si sarebbe dunque chiamata Roma. Forte dell’appoggio divino, Romolo si apprestò a tracciarne il perimetro; scavò dapprima un profondo fossato, che si chiamava “mundus”, su cui costruì un altare. Il fratello Remo, deluso per essere stato escluso dai pronostici, in segno di spregio, scavalcò sprezzantemente il confine, ma l’altro, offeso da quello che considerò un vero e proprio gesto sacrilego, lo uccise. Nella sua narrazione Plutarco descrive il solco come circolare ma poi cade in contraddizione chiamando Roma “città quadrata”; l’associazione di queste due forme geometriche non è solo un errore, ma suggerisce l’idea di una “doppia città”. Questo tema fu ripreso anche dal cristianesimo: nell’Apocalisse di San Giovanni è descritta la Gerusalemme celeste “cinta da alta e grande muraglia”, luogo santo che si contrappone a Babilonia, sede del male. Sant’Agostino dette ad una delle sue opere più importanti il nome di “De civitate Dei”, “La città di Dio”. Era questo un sito divino dove regnavano principi di carità ed amore, in contrapposizione con la “città terrena”, fondata dal fratricida Caino, dove dominavano la cupidigia, la lussuria e la brama di potere. Il tema della doppia città rimase vivo a lungo nel pensiero medievale, che considerava la vita dell’uomo come un passaggio dall’uno all’altro luogo, tra il mondo terreno e quello spirituale.
Nel Tarocco marsigliese l’immagine subisce una radicale modifica, pur se il significato adombrato nel simbolo rimane sostanzialmente simile; una “mandorla” o festone ovale, reca al centro una figura femminile seminuda che regge nelle mani due bacchette; agli angoli della lama compaiono un angelo, un’aquila, un leone e un bue. Queste enigmatiche figure provengono dalla già citata visione del profeta Ezechiele e sono un simbolo dei quattro evangelisti adottato nell’iconografia cristiana a partire dal V secolo. Ezechiele aveva contemplato, forse senza saperlo, alcune divinità già presenti nel Pantheon babilonese, e cioè il dio Sole, la Luna, Marte e Saturno nella loro forma allegorica, essi presiedevano alle stagioni, collegate a loro volta coi quattro elementi.
La lama presenta il tema del cerchio inserito nel quadrato, diffusissimo nelle rappresentazioni religiose e mitologiche di tutto il mondo. Il quadrato è simbolicamente la terra, lo spazio, la solidità e attiene alla sfera umana, mentre il cerchio esprime l’idea della creazione nel suo eterno divenire, ed è riferito allo spirito. Questa figura geometrica è ben nota ai Cabalisti, che vedono in essa il simbolo del fuoco divino nascosto nella materia. In oriente essa è chiamata con termine indù, “mandala” (letteralmente “cerchio”,”anello”) ed è usata nelle pratiche di meditazione; il mandala contiene l’idea del movimento e del cambiamento di livello e rappresenterebbe il misterioso rapporto tra terra e cielo. Esso è alla base di moltissime costruzioni architettoniche; moschee e chiese sono spesso articolate su una struttura a base quadrata che sostiene una cupola circolare. Anche molte città erano fondate sul quadrato e sul cerchio, come si è visto a proposito di Roma. La figura ha infinite varianti; nel Medioevo ad esempio Cristo, rappresentato dentro ad una mandorla ovale, era spesso circondato dai quattro evangelisti; il parallelo tra questa immagine e la carta dei Tarocchi è lampante, anche se quest’ultima ospita al posto di Cristo una figura femminile che ricorda le antiche divinità greche. Questa curiosa associazione di sacro e profano non è stata chiaramente interpretata. Alcuni studiosi vedono nella donna un simbolo della Vergine, altri di Venere; Wirth la descrive come “una infaticabile Atalanta che, correndo, fa muovere la ruota della vita”, e la definisce “anima corporea dell’universo”; le due bacchette che tiene in mano avrebbero lo scopo di captare le energie vitali. Lo studioso è nel solco della tradizione esoterica rinascimentale: Marsilio Ficino, mago e filosofo di quel periodo, affermava infatti l’esistenza di un corpo, un intelletto, un’anima del mondo, ricettacolo di potenze benefiche; “l’Anima mundi” conterrebbe il seme di tutte le cose ideate dall’intelletto e che si concretizzeranno nel corpo, ossia nella materia. Ficino espone questa teoria nel “De vita coelitus comparanda”, ed è influenzato dalle idee di Platone esposte nel Timeo.
La mandorla che circonda la donna è una variante del cerchio. Questo nembo di forma ovale è di origine orientale ed è passato nell’arte cristiana medievale; durante medioevo e rinascimento centinaia di santi sono stati raffigurati avvolti dal luminoso tracciato della mandorla; essa è un’aura sacrale ma anche un guscio protettivo, una specie di uovo che promette una nuova nascita.
Il Mondo contiene l’idea della totalità; la città/cosmo, fondata sul quadrato e sul cerchio, è un simbolo dell’ordine materiale in relazione con quello spirituale, dell’unità nella molteplicità; tra i due ambiti c’è un rapporto di scambio e armonia, e l’unione ha fatto cadere qualsiasi conflitto. Un ulteriore, possibile collegamento a sostegno di questa ipotesi è infine costituito dal parallelo con la carta che nei Tarocchi del Mantegna è chiamata “Prima Causa” ; essa è la più importante di tutti gli altri in quanto rappresenta Dio stesso. Nella versione denominata con la lettera S, l’incisore ha rappresentato al centro una figura a cerchi concentrici, derivante dalla dottrina tolemaica sulla struttura dell’universo, mettendo agli angoli i quattro evangelisti, che non compaiono nella versione E. Questo dettaglio avvicina la Prima Causa al Mondo e chiarisce ancor meglio il significato mistico della lama.
Il numero XXI, a cui corrisponde la carta, ha valore di sintesi suprema. Secondo la Bibbia risulta dalla moltiplicazione di 3 per 7 e rappresenta la perfezione per eccellenza. E’ un numero benefico che si identifica con la globalità e che racchiude i tre settenari e i sette ternari in cui si suddividono i Tarocchi.