Nessun Tarocco miniato ha conservato il Trionfo raffigurante il Diavolo, la cui iconografia più antica relativa alle carte è tramandata solo da mazzi stampati con tecnica xilografica. Una di queste incisioni, alquanto rozza, rappresenta una figura che regge un forcone, dotata di testa cornuta, ali di pipistrello, zampe artigliate e un volto umano sporgente dal ventre. In un altro Tarocco della fine del XV secolo, il Diavolo è una figura pelosa con forcone, corna ed estremità di rapace; questi attributi, relativi all’azione di ghermire o infilzare, simboleggiano la capacità di catturare l’animo umano. Nel Tarocco marsigliese esso è rappresentato in piedi, ritto su di un piedistallo; ha le corna ramificate, ali di pipistrello, seni femminili e zampe artigliate. Al piedistallo sono legati con una corda due diavoletti.
L’iconografia di questo Tarocco è collegata alla vasta schiera dei demoni medievali, ma la storia dell’immagine è assai più arcaica e complessa. Creature mostruose e demoniache sono infatti presenti in tutta l’arte antica; esseri ibridi, formati da vari animali assemblati a membra umane, si ritrovano sia nell’arte dell’antico Egitto che in quella della Mesopotamia, dove il malvagio Pazuzu, spirito apportatore di malaria, è assai vicino alla raffigurazione occidentale del Diavolo. L’arte greca e romana, proiettata verso la bellezza, accolse solo a margine alcune figure grottesche come quella della Medusa, dalla testa irta di serpenti e la lingua pendente dalla bocca spalancata e ghignante. I demoni furono invece accolti nel mondo barbarico e proliferarono in quello occidentale dopo l’avvento del cristianesimo.
In origine la Bibbia non dà ampio spazio alla figura del Diavolo che è ricordato nel testo della Sapienza del Vecchio Testamento e nel libro di Giobbe. Il serpente della Genesi, che causò la cacciata dei progenitori dal Paradiso terrestre, verrà identificato col Demonio solo in epoca tarda. Nel Vangelo di Matteo Satana tenta Gesù dopo 40 giorni di digiuno nel deserto; assieme ai suoi accoliti causa inoltre varie malattie agli uomini rendendoli ciechi, sordi, pazzi, muti. Anche la descrizione fisica del Maligno nella Bibbia è piuttosto vaga. Sembra che lo sviluppo antropomorfico, che portò ad umanizzare il Diavolo, sia dovuto al Talmud, il testo fondamentale della pratica religiosa ebraica; secondo esso il serpente dell’Eden aveva mani e piedi, che perdette come punizione per la sua opera di corruzione, con la conseguente condanna di strisciare in eterno.
Durante il Medioevo europeo si ebbe la massima proliferazione delle immagini demoniache, che si moltiplicarono negli affreschi, nelle sculture delle cattedrali e nei paramenti liturgici. All’inizio il Demonio fu rappresentato prevalentemente come serpente dalla testa umana, poi come leone o drago, poi come figura completamente umana. In un affresco del Camposanto di Pisa egli è, tra l’altro, una bella donna vestita con abiti alla moda che seduce un eremita nella sua grotta; solo le estremità artigliate che spuntano dal lungo mantello tradiscono la sua vera natura. In seguito si sviluppò un costante processo di degradazione fisica legato all’idea elementare che se Satana era la somma di tutti i peccati doveva esserlo anche di tutte le forme più repellenti; dapprima egli acquisì il carattere dell’uomo-capra; suoi attributi furono le orecchie a punta, le zampe pelose e munite di zoccoli, la faccia contorta in un ghigno osceno. Tale immagine era mutuata da quella del dio Pan, il satiro della mitologia greca che atterriva i viandanti durante le ore meridiane con i suoi urli raccapriccianti (da cui la parola “panico”) e che rincorreva le ninfe per possederle in modo selvaggio. Egli era fin dall’antichità simbolo di lussuria; anche in seguito la sessualità fu considerata dalla Chiesa uno dei peccati peggiori in cui l’uomo potesse incorrere. Alle mostruosità caprine si aggiunsero poi la gastrocefalia, cioè una testa supplementare sul ventre, ma anche sulle cosce e sul posteriore. In molte rappresentazioni medievali dell’Inferno, un enorme Satana divora un dannato e ne espelle un altro da una bocca sul basso ventre; l’idea dell’alimentazione demoniaca è arricchita altre volte da dettagli grotteschi, come figure di dannati infilzati sullo spiedo e arrostiti come capponi. A proposito della bocca supplementare e del cannibalismo, esso potrebbe rappresentare lo spirito svenduto ai bassi istinti; il simbolismo del “mangiare” inoltre avrebbe lo stesso significato di “possedere”.
Testi latini come la “Storia naturale” di Plinio, con le sue descrizioni di creature bizzarre, furono nel medio evo una continua fonte di ispirazione per inventare demoni ed esseri fantastici; molti di questi erano anche di origine orientale, come le sirene, i grifoni, le arpie. Della stessa provenienza erano pure le ali di pipistrello, che furono introdotte in Europa dopo il XIII secolo; esse erano legate dall’immagine del drago, che derivava a sua volta dal Lung-Wang, il grande serpente cinese munito di zampe, benefico dispensatore di pioggia e vita; arrivate in Europa si trasformarono in ulteriore motivo di orrore. Dante stesso le descrive nel XXXIV canto dell’Inferno: ”Sotto ciascuna uscivan due grand’ali/quanto si convenia a tanto uccello/Vele di mar io non vidi mai cotali/Non avean penne, ma di vipistrello/eran lor modo; e quelle svolazzava/sì che tre venti si movean da ello”. Accanto ai suddetti attributi fisici la fantasia medievale si sbizzarrì alla ricerca di particolari raccapriccianti: frequentissimi furono i demoni con flaccidi seni di donna; nell’arte del nord Europa comparirono diavoli arborescenti fatti di tronchi e di foglie; oppure pieni di pustole e bitorzoli; o con teste di cane, o con proboscide e orecchie smisurate come ali. Parecchie tra queste immagini giunsero a noi dall’Asia dopo il Duecento, quando vivaci contatti commerciali si stabilirono tra i due continenti, e monaci e mercanti cominciarono a stendere dettagliate e a volte fantasiose relazioni di viaggio spesso corredate da illustrazioni. Per peggiorare ulteriormente la sua presenza, il Diavolo non esitava inoltre a compiere gesti osceni o emettere odori repellenti. Numerose testimonianze attestano quest’abitudine; nel XIII secolo ad esempio Tommaso Cantipratense, monaco domenicano, ebbe a vedere il diavolo in figura di prete che: ”nudato inguine, ex tento asinino veretro velut ad urinam faciendam”.
L’idea della tentazione è al centro del mito diabolico; il Demonio infatti induce gli uomini a peccare sollecitando in loro due grandi passioni: quella per il sesso e quella per il potere, che allontanano l’uomo dall’unione con Dio. In linguaggio psicologico egli rappresenterebbe le forze distruttive che turbano e indeboliscono la coscienza facendola regredire. La parola “diavolo”, di origine greca, riassume l’idea di scissione: essa infatti significa “colui che si mette in mezzo”, e quindi l’ostacolo, la barriera. Uguale significato ha il termine “Satana”, derivazione della parola semitica “Satan”, che vuol dire “opporsi”. Ma i nomi di questa creatura sono infiniti come infinite sono le sue schiere. Ecco alcuni appellativi che a volte indicano lui stesso, a volte i suoi luogotenenti più fidati: Lucifero, Demonio, Belzebù, Belial, Behemot, Bestia, Astarotte, Asmodeo, Leviatan, Azazel, Abadon, Mefistofele, Grande Becco, Angelo delle tenebre, Maligno, Seduttore, Scimmia di Dio, Lucibello, Macometto, Farfarello, Berlicche, Puzzimene, Mala cosa, Ticchi-tacchi ecc.
Oswald Wirth ha dato a questo Arcano un’interpretazione tutt’altro che negativa, cercando in parte di riscattarlo e di superare la sua immagine di grottesca caricatura ereditata dal medio evo. Egli lo considera il principe del mondo materiale, una sorta di agente creatore che sta alla base di tutte le cose; mentre Dio rappresenta l’unità il Diavolo presiede a tutto ciò che tende a differenziarsi. Esso è legato al corpo e all’istinto di conservazione e con lui tutti gli uomini devono fare i conti dal momento stesso in cui vengono al mondo. Wirth lo definisce “serbatoio della vitalità di tutti gli esseri”, fonte di energie profonde e inestinguibili; i diavoletti sarebbero le polarizzazioni positive e negative del fluido universale.
Il numero del Tarocco è il XV, solitamente considerato infausto; nel Medioevo era associato al sabba e alle streghe. Ha significato legato all’occulto, alla magia.