giovedì 2 settembre 2010

La Stella

Nei mazzi più antichi alcuni sapienti osservano una stella alta nel cielo: sono i Re Magi al cospetto della cometa. Nei Tarocchi Visconti invece una giovane donna in abito classicheggiante regge una stella nella mano sinistra, sollevata verso l’alto. I Tarocchi marsigliesi presentano l’iconografia più significativa: in un paesaggio glabro da cui spuntano due alberelli, una fanciulla nuda e inginocchiata versa a terra l’acqua contenuta in due anfore; sotto al suo piede si allarga un laghetto azzurro; sullo sfondo un uccello è posato in cima a un albero. Nel cielo sopra la giovane splende un grande astro a otto punte, circondato da sette più piccoli. Questa immagine ha affascinato gli autori delle carte esoteriche, che l’hanno riproposta senza sostanziali variazioni.
Nella serie completa degli Arcani, la Stella precede due carte significative, la Luna e il Sole. Una triade astrale domina l’ultima parte dei Trionfi; la cosa non è certamente insolita se si pensa all’importanza che l’astrologia rivestiva per gli antichi. I popoli della Mesopotamia furono i primi a studiare gli astri e a postulare che influenzassero il destino umano. A circa cinque secoli prima di Cristo, risalgono la divisione zodiacale in 12 segni, e le prime associazioni tra la posizione dei corpi celesti e il momento individuale della nascita. Secondo i Caldei le stelle erano altrettante divinità che governavano il destino umano portando benessere o sciagura; tuttavia furono gli Egiziani che determinarono le basi “scientifiche” dell’astrologia, su cui poggiano tuttora le interpretazioni moderne. L’arte di osservare il firmamento si sviluppò anche nel mondo classico; Omero descrive ad esempio la rappresentazione del cielo e delle costellazioni nella decorazione a sbalzo sullo scudo di Achille realizzato da Efesto. Gli stessi imperatori romani favorirono questa scienza; tra i più famosi studiosi antichi fu Claudio Tolomeo (II secolo d.C.) geografo, astronomo, matematico, e a cui si deve la teoria del cielo che è tuttora alla base dell’astrologia moderna. Lo zodiaco, i pianeti, le stelle fisse, passarono dalla cultura pagana a quella cristiana e le loro immagini si diffusero nelle chiese e nei palazzi europei. Dal medio evo al rinascimento venne realizzata in Italia una notevole serie di cicli astrologici dipinti o scolpiti; essi si dispiegarono con tipologie differenziate: dai calendari coi mesi, associati al corrispondente segno zodiacale, ai cicli affrescati raffiguranti oroscopi. Due esempi per tutti: le sculture di Benedetto Antelami nel battistero del duomo di Parma (XIII secolo) e la mappa celeste fatta eseguire da Cosimo de’ Medici nella Sacrestia Vecchia di San Lorenzo a Firenze, che raffigura il cielo della città come si presentava il 4 luglio 1442.
Nelle opere d’arte antica sole e luna sono frequentemente associati e in taluni casi assimilati a Cristo e alla Vergine; diffuso è anche il motivo della stella accanto ai due luminari. In un bassorilievo proveniente da Susa (1500 a.C.) il re babilonese Melisipak presenta la figlia alla dea Nana mentre sulle figure campeggiano tre astri; la stella è a otto punte come quella del Tarocco marsigliese. Per gli antichi essa poteva anche segnalare la venuta di un essere superiore ed era simbolo di immortalità. Nell’antico Egitto ad esempio, l’anima del defunto, detta Ba, nasceva sotto forma di stella o di uccello. In Cina e all’epoca dell’impero romano gli astrologi, alla morte di un personaggio importante, ritenevano che la sua anima tornasse in cielo trasformandosi in una stella. I latini pensavano che gli astri potessero essere una guida preziosa: lo storico Varrone narra ad esempio che Enea fu accompagnato nelle sue peregrinazioni da una stella che scomparve quando giunse nelle terre dove si sarebbe compiuto il suo destino. In questo contesto simbolico rientra la cometa di Betlemme, annunciatrice della nascita di Gesù e guida dei Magi.
Le prime versioni del Tarocco sembrerebbero aderire a questo significato, ma in seguito una figura femminile sostituisce i tre sapienti. Gli esoterici interpretano questa seconda immagine come la dea Venere; Venere era anche uno dei sette astri conosciuti dagli antichi. 
Era la stella del mattino, chiamata dai Babilonesi “chiara fiaccola” o “diamante scintillante nel sole”. Per gli Assiri la dea Ishtar aveva il dominio del pianeta; essa però possedeva anche qualità lunari e per molto tempo regnò grande confusione nelle attribuzioni tra Luna e Venere. I Babilonesi chiamavano quest’ultima Astarte, i Fenici invece l’adoravano col nome di Astoreth; l’etimologia del nome significa appunto “Stella”. Astarte era, in una delle sue personificazioni, l’incantatrice, la dea dell’amore sensuale. Diventata nella cultura occidentale Venere/Afrodite, assunse oltre a questo attributo, significati più vasti e complessi. In astrologia ad esempio presiede all’affettività, oltre che alla sensualità, ed ha la proprietà di attirare l’una verso l’altra tutte le creature; il pianeta stabilisce un principio d’amorosa comunione che è alla base del fiorire della vita. Rappresenta anche le virtù oblative dell’io, l’altruismo e la dedizione. Si riferisce inoltre alla bellezza, all’amore per la natura, al temperamento creativo artistico.
Sull’onda di questi significati si muove anche l’interpretazione esoterica di Wirth. Il dono di Venere rappresentato nella lama sarebbe l’acqua che la giovane donne versa sulla terra arida; è un fluido di rinascita che fa fiorire la vegetazione e tiene in vita la natura.
Discordante è l’interpretazione da parte dei vari autori, delle otto stelle che compaiono nel cielo e dell’uccello appollaiato sull’albero: per alcuni è un ibis, per altri una colomba. La stella centrale rappresenterebbe Venere mentre le circostanti sarebbero le Pleiadi, costellazione nota ai Greci; il suo sorgere segnalava ai naviganti l’arrivo del tempo favorevole per salpare in mare.
Il XVII, associato alla carta, nelle speculazioni degli antichi Greci era formato dal rapporto tra otto e il nove; questi due numeri erano legati alle teorie musicali antiche e all’armonia delle sfere planetarie. I mistici Shiiti lo veneravano come canone dell’equilibrio di tutte le cose. I Romani invece consideravano il XVII infausto, perché le lettere che lo compongono, cambiate di ordine, formano la parola “VIXI”, “ho vissuto”, ossia sono morto.