

Nelle opere d’arte antica sole e luna sono frequentemente associati e in taluni casi assimilati a Cristo e alla Vergine; diffuso è anche il motivo della stella accanto ai due luminari. In un bassorilievo proveniente da Susa (1500 a.C.) il re babilonese Melisipak presenta la figlia alla dea Nana mentre sulle figure campeggiano tre astri; la stella è a otto punte come quella del Tarocco marsigliese. Per gli antichi essa poteva anche segnalare la venuta di un essere superiore ed era simbolo di immortalità. Nell’antico Egitto ad esempio, l’anima del defunto, detta Ba, nasceva sotto forma di stella o di uccello. In Cina e all’epoca dell’impero romano gli astrologi, alla morte di un personaggio importante, ritenevano che la sua anima tornasse in cielo trasformandosi in una stella. I latini pensavano che gli astri potessero essere una guida preziosa: lo storico Varrone narra ad esempio che Enea fu accompagnato nelle sue peregrinazioni da una stella che scomparve quando giunse nelle terre dove si sarebbe compiuto il suo destino. In questo contesto simbolico rientra la cometa di Betlemme, annunciatrice della nascita di Gesù e guida dei Magi.
Le prime versioni del Tarocco sembrerebbero aderire a questo significato, ma in seguito una figura femminile sostituisce i tre sapienti. Gli esoterici interpretano questa seconda immagine come la dea Venere; Venere era anche uno dei sette astri conosciuti dagli antichi.
Era la stella del mattino, chiamata dai Babilonesi “chiara fiaccola” o “diamante scintillante nel sole”. Per gli Assiri la dea Ishtar aveva il dominio del pianeta; essa però possedeva anche qualità lunari e per molto tempo regnò grande confusione nelle attribuzioni tra Luna e Venere. I Babilonesi chiamavano quest’ultima Astarte, i Fenici invece l’adoravano col nome di Astoreth; l’etimologia del nome significa appunto “Stella”. Astarte era, in una delle sue personificazioni, l’incantatrice, la dea dell’amore sensuale. Diventata nella cultura occidentale Venere/Afrodite, assunse oltre a questo attributo, significati più vasti e complessi. In astrologia ad esempio presiede all’affettività, oltre che alla sensualità, ed ha la proprietà di attirare l’una verso l’altra tutte le creature; il pianeta stabilisce un principio d’amorosa comunione che è alla base del fiorire della vita. Rappresenta anche le virtù oblative dell’io, l’altruismo e la dedizione. Si riferisce inoltre alla bellezza, all’amore per la natura, al temperamento creativo artistico.
Era la stella del mattino, chiamata dai Babilonesi “chiara fiaccola” o “diamante scintillante nel sole”. Per gli Assiri la dea Ishtar aveva il dominio del pianeta; essa però possedeva anche qualità lunari e per molto tempo regnò grande confusione nelle attribuzioni tra Luna e Venere. I Babilonesi chiamavano quest’ultima Astarte, i Fenici invece l’adoravano col nome di Astoreth; l’etimologia del nome significa appunto “Stella”. Astarte era, in una delle sue personificazioni, l’incantatrice, la dea dell’amore sensuale. Diventata nella cultura occidentale Venere/Afrodite, assunse oltre a questo attributo, significati più vasti e complessi. In astrologia ad esempio presiede all’affettività, oltre che alla sensualità, ed ha la proprietà di attirare l’una verso l’altra tutte le creature; il pianeta stabilisce un principio d’amorosa comunione che è alla base del fiorire della vita. Rappresenta anche le virtù oblative dell’io, l’altruismo e la dedizione. Si riferisce inoltre alla bellezza, all’amore per la natura, al temperamento creativo artistico.
Sull’onda di questi significati si muove anche l’interpretazione esoterica di Wirth. Il dono di Venere rappresentato nella lama sarebbe l’acqua che la giovane donne versa sulla terra arida; è un fluido di rinascita che fa fiorire la vegetazione e tiene in vita la natura.
Discordante è l’interpretazione da parte dei vari autori, delle otto stelle che compaiono nel cielo e dell’uccello appollaiato sull’albero: per alcuni è un ibis, per altri una colomba. La stella centrale rappresenterebbe Venere mentre le circostanti sarebbero le Pleiadi, costellazione nota ai Greci; il suo sorgere segnalava ai naviganti l’arrivo del tempo favorevole per salpare in mare.
Il XVII, associato alla carta, nelle speculazioni degli antichi Greci era formato dal rapporto tra otto e il nove; questi due numeri erano legati alle teorie musicali antiche e all’armonia delle sfere planetarie. I mistici Shiiti lo veneravano come canone dell’equilibrio di tutte le cose. I Romani invece consideravano il XVII infausto, perché le lettere che lo compongono, cambiate di ordine, formano la parola “VIXI”, “ho vissuto”, ossia sono morto.